Il 2010 per me è stato un anno molto particolare e tra le cose che mi sono accadute, due sono state particolarmente significative: la nascita di mio figlio e, dopo 3 mesi, la morte improvvisa di mio padre. In entrambi i casi le emozioni sono state fortissime, come potete ben immaginare, e non saprei nemmeno dire quale dei due eventi mi abbia segnato di più. A rendere le emozioni più forti ci sono state le coincidenze meteorologiche di una splendida giornata, calda di fine estate per la nascita di mio figlio, e freddissima di una settimana invernale di tramontana per la morte di mio padre.
Molti diranno che è la ruota della vita, un vecchio che se ne va per far posto ad una giovane vita, ma è un luogo comune fin troppo consumato quando si usa sulla pelle degli altri: vivendolo sulla propria pelle ci si accorge di quanto sia profondo il legame col proprio padre, consolidato da almeno un paio di decine di anni di convivenza, e quanto sia invece incerto e sconosciuto il legame col proprio figlio, un essere umano indifeso e delicatissimo, che richiede una dedizione assoluta e che ti ripaga con un amore incondizionato. A dire la verità anche mio padre, negli ultimi mesi, si era trasformato in un essere delicato e per quanto i suoi 76 anni gli avessero fornito difese contro gli attacchi del mondo più che sufficienti, a me sembrava sempre più indifeso: si commuoveva sempre più frequentemente di quanto non avesse mai fatto, lui che comunque era una persona sensibilissima e dalla lacrima facile; la nascita di mio figlio (suo secondo nipote), poi, aveva scatenato ancor di più la sua tendenza a commuoversi. In questa nuova debolezza degli ultimi tempi l’ho visto molto più simile a mio figlio di quanto non si possa immaginare.
Devo a mio padre tantissimo: non solo il dono della vita, per il quale da cattolico credente mio padre s’è sempre sentito solo uno strumento più che un artefice, ma gli sono debitore di tante piccole cose che mi hanno fatto essere quello che sono. Non saprei nemmeno da dove cominciare, né come ordinarle per importanza, tante sono state, ma visto che qui si parla di musica, ne vorrei citare un paio strettamente legate a questa passione, che anche mio padre aveva.
In tutta la nostra vita, mio padre non ha mai fatto mancare a mio fratello e a me nulla, ma in particolare non ci ha mai negato tutto ciò che potesse stimolare in qualche modo il nostro interesse: la nostra casa è sempre stata piena di libri, ad esempio, e non è mai mancato un quotidiano e un settimanale da cui informarsi su cosa succede nel mondo; soprattutto, mio padre non ci ha mai negato un disco o i soldi per comprare musica sotto ogni forma, e ci ha sempre accontentato quando abbiamo voluto provare a suonare: mio fratello ebbe un pianoforte e un sassofono, io iniziai con un’armonica a bocca e poi con una chitarra classica, evolutasi poi in una chitarra elettrica per tornare ad una chitarra folk. Anche mio padre amava a suo modo la musica: ha sempre cantato, in particolare in chiesa nei canti religiosi, e si è sempre interessato a quello che noi ascoltavamo, anche se l’inglese delle canzoni che ascoltavo io per lui era un ostacolo quasi insormontabile: ricorderò però sempre la sua espressione meravigliata di fronte al lungo incipit strumentale di “Shine On You Crazy Diamond” dei Pink Floyd, oppure di fronte alla voce cristallina di Antonella Ruggiero che cantava “Vacanze romane” coi Matia Bazar.
L’eredità di mio padre, ovviamente, non si ferma solo a questo: le altre cose di cui mi sento debitore verso mio padre sono di ben altro spessore e preferisco tenerle per me, come cose preziose. Ma c’è una cosa che lega questa canzone di Peter Gabriel (in particolare una strofa) al modo in cui mio padre mi ha cresciuto e fatto diventare quello che sono:
Remember the breakwaters down by the waves
I first found my courage
Knowing daddy could save
I could hold back the tide
With my dad by my side
Ecco, la sensazione che non sento più, ora che mio padre non è più qui con me, e nonostante i miei 42 anni che dovrebbero garantirmi una certa sicurezza, è quella descritta in questa strofa della canzone: cioè quella di non avere più qualcuno pronto a salvarmi. È strano che questa sia la sensazione prevalente, perché mio padre ha fatto una guardia silenziosa alla mia vita: è stato sempre presente e disponibile, senza mai essere soffocante; ma così facendo, credo, mi ha fatto il regalo più bello della mia vita: quello di darmi la sicurezza, con questa sua silenziosa presenza al mio fianco, di poter fermare persino le maree.
Non so se sarò in grado di fare per mio figlio un decimo di quello che ha fatto mio padre per me, ma mi piace sperare di riuscire a fare da tramite tra mio padre e mio figlio, nel trasmettere quanto più possibile di quello che ho imparato da lui; tramite che mi piace vedere simbolicamente in una delle ultime foto che ho fatto a mio padre insieme a mio figlio: il nonno che guarda sorridendo il nipotino nel passeggino, e il nipotino che ricambia il sorriso, ed io come un invisibile collegamento tra loro a scattare la foto.
Peter Gabriel, dal vivo, canta “Father Son”; il brano è stato pubblicato inizialmente in “Ovo” e poi nella raccolta “Hits”.
alla fine, ogni padre come quello che descrivi si meriterebbe un figlio come quello che ha scritto. auguri emmeeffe!