Doverosa premessa per informare chi legge: io amo quest’uomo (musicalmente parlando). Mi sono innamorato al primo ascolto: capitai per puro caso al concerto che i Porcupine Tree tennero a Roma nel 1997, in una di quelle estati in cui ero rimasto al lavoro, avevo appena iniziato a lavorare e per l’entusiasmo uscivo dall’ufficio abbastanza tardi; la sera, per non impazzire a casa da solo, me andavo a sentire qualunque cosa passasse per la capitale. Conoscevo questo gruppo solo di nome avendolo scovato su qualche rivista musicale, a quei tempi Internet non aveva esattamente la pervasività che ha oggi, e se ne parlava come degli eredi della grande tradizione progressive e psichedelica. Nel gruppo c’era un pezzo grosso, Richard Barbieri (tastiere, ex Japan), ma gli altri erano per me emeriti sconosciuti e non avevo mai ascoltato nulla da loro pubblicato.
Uscii dal concerto folgorato e il giorno dopo comperai un paio di dischi alla ricerca di quei pezzi che avevo sentito la sera prima. Non li trovai, almeno apparentemente: niente di ciò che era contenuto in quei dischi mi suonava come quello che avevo sentito la sera prima: eppure i due dischi erano gli ultimi due pubblicati dal gruppo.
Pochi mesi dopo uscì il live Coma Divine, registrato proprio durante quel concerto. Per curiosità ricordandomi di quella strana cosa dei pezzi che pensavo non avessero suonato, andai a controllare i titoli: in effetti c’erano quasi tutti, ma erano così diversi da sembrare altri brani (provare per credere, ascoltate Moonloop contenuta nel disco in studio “The Sky Moves Sideways” e quella dal vivo e ditemi se vi sembra la stessa…).
Da allora non li ho più mollati, senza mai pentirmi dell’acquisto di un loro disco.
Ma non amo Steven Wilson solo per questo: il fatto è che me lo ritrovo OVUNQUE, su un numero incredibile di dischi che per mia passione decido di comperare: produttore di “Sunset on Empire” di Fish (ex cantante dei Marillion), ingegnere del suono delle versioni rimasterizzate di capolavori del rock progressive come In The Court of The Crimson King, oppure Close To The Edge degli Yes: quest’ultimo disco suona totalmente diverso dall’originale, nella sua versione ripulita e messa a nuovo.
Quindi musicista, tecnico del suono e compositore: se come chitarrista non brilla per tecnica, come tecnico del suono e compositore invece non ha rivali. E la sua bravura nel circondarsi di eccellenti musicisti è stata sempre confermata: andate a vedere chi ha scelto per sostituire il pur bravissimo Chris Maitland nei Porcupine Tree e troverete uno dei migliori batteristi session man al mondo, Gavin Harrison, oggi batterista dell’ultima reincarnazione dei King Crimson. Per non parlare infine della pulizia del suono di tutti i suoi dischi, compresi quelli che ha solo remixato.
In questo disco non fa eccezione: brani impeccabilmente composti e arrangiati, suonati da musicisti eccezionali benché pressoché sconosciuti ai più, il risultato è un disco di musica rock con venature progressive in grado di soddisfare anche chi non è appassionato di questo genere. Ma non è della musica di cui voglio parlare, benché comunque vi suggerisco di ascoltare il brano strumentale Regret #9 con i due assoli di synth e di chitarra, strepitosi entrambi, oppure Happy Returns: questo disco mi ha colpito per la storia da cui nasce.
Il 25 gennaio del 2006 fu rinvenuto, in un appartamento di Londra, il corpo ormai decomposto di Joyce Carol Vincent, una donna di circa 40 anni, la cui scomparsa non era mai stata denunciata. Dalle indagini svolte, è stato valutato che la morte della donna risalisse a dicembre del 2003, quindi più di 2 anni prima del rinvenimento. A dispetto di quello che chiunque legga questa storia può pensare, Joyce Carol Vincent non era una disadattata: anzi, si trattava di una donna di bell’aspetto, un buon lavoro, con una famiglia (genitori e sorelle) e dei colleghi, con cui con ogni giorno probabilmente condivideva parte della sua vita: nel frigo dell’appartamento in cui è stata rinvenuta c’era del cibo con data di scadenza risalente a dicembre 2003, e a fianco al cadavere dei pacchetti contenenti regali natalizi ancora chiusi, quindi per qualcuno che avrebbe dovuto riceverli; la TV ancora accesa e una pila di piatti da lavare nel lavello. Eppure questa donna improvvisamente scompare, muore, probabilmente per cause naturali, nella casa dove abitava e nessuno, NESSUNO, la cerca per oltre due anni, né i vicini notano la sua assenza, fino a quando la compagnia da cui aveva affittato la casa le fa notificare lo sfratto per i mancati pagamenti dell’affitto. Sulla vicenda è stato anche girato un film-documentario, “Dream of A Life”.
Non so che effetto vi faccia questa notizia, ma a me ha rievocato una delle mie peggiori paure. Ho vissuto per anni da solo, in un città diversa da quella dove sono cresciuto e dove continuavo ad avere familiari e amici, e sono sempre stato terrorizzato dall’idea che se mi fosse successo qualcosa in casa, probabilmente i soccorsi sarebbero scattati troppo tardi, nonostante sentissi i miei genitori almeno una volta al giorno. Ma avevo la ben poco consolante certezza che se i miei genitori non mi avessero sentito per più di qualche giorno si sarebbero allarmati, avrebbero chiesto a mio zio che viveva a pochi chilometri da casa mia di fare un salto a casa mia. E anche se non avessi avuto i genitori, ho sempre pensato che qualche collega mi avrebbe cercato, insospettito da un’assenza improvvisa. Evidentemente non è così, almeno non sempre, non dappertutto.
Anche ora che non corro più questi rischi, avendo una mia famiglia, questa storia ha avuto l’effetto di un pugno nello stomaco. Se anche la protagonista di questa storia avesse voluto isolarsi dal mondo, come è possibile che nessuno delle persone a lei legate si sia mai interessata a lei per così tanto tempo?
Steven Wilson si ispira a questa vicenda per scrivere un concept album che ha come tema l’alienazione dell’odierna società occidentale, e solo nel brano Happy Returns, struggente per il testo per la melodia, c’è un esplicito riferimento alla storia della povera Joyce Carol Vincent; ecco il testo:
Hey brother, happy returns, it's been a while now
I bet you thought that I was dead
But I'm still here, nothing's changed
Hey brother, I'd love to tell you I've been busy
But that would be a lie
Cos the truth is the years just pass like trains
I wave but they don't slow down
Hey brother, I see the freaks and dispossessed on day release
Avoiding the police
I feel I'm falling once again
But now there's no one left to catch me
Hey brother, I feel I'm living in parentheses
And I got trouble with the bills
Do the kids remember me?
Well I got gifts for them, and for you and sorrow
But I'm feeling kind of drowsy now
So I'll finish this tomorrow
Nel 2003 non c’erano social network come Facebook o Twitter, internet era ancora poco pervasiva e persino i cellulari non erano ancora così diffusi come oggi, ma credo che una vicenda come questa anche oggi potrebbe verificarsi allo stesso identico modo, nonostante la fitta maglia delle reti virtuali in cui ciascuno di noi è impigliato: chi di noi, non vedendo più apparire messaggi su Facebook da uno dei nostri contatti, si preoccuperebbe di alzare il telefono o andarlo a cercare per sapere se ha qualche problema, se sta bene o se semplicemente ha deciso di investire il suo tempo in altro?
La domanda che però dovremmo porci, di fronte a vicende del genere è questa: in che razza di società viviamo se una persona può morire, scomparire senza che nessuno si accorga della sua scomparsa? Quanto manca a che ognuno di noi diventi del tutto invisibile?
Credits
Steven Wilson – Hand.Cannot.Erase. (KScope, 2015)
Tracklist
1 First Regret (2:01)
2 3 Years Older (10:18)
3 Hand Cannot Erase (4:13)
4 Perfect Life (4:43)
5 Routine (8:58)
6 Home Invasion (6:24)
7 Regret #9 (5:01)
8 Transience (2:45)
9 Ancestral (13:30)
10 Happy Returns (6:00)
11 Ascendant Here On… (1:54)
Musicisti
Steven Wilson – voce, chitarra, basso, tastiere
Guthrie Govan – chitarra
Adam Holzman – tastiere
Marco Zinnemann – batteria
Nick Beggs – basso, stick, voci
David Gregory – chitarre, voci
Theo Travis – flauto, sax
Ninet Tayeb – voce su Perfect Life e Routine
Qualche link sull’album
Video ufficiale di Perfect life
Qualche link sulla storia di Joyce Carol Vincent
Joyce Carol Vincent: How could this young woman lie dead and undiscovered for almost three years?
La solitudine come problema sociale, psicologico, e come rischio per la salute
‘Dreams of a Life’- The Complex Story of Joyce Carol Vincent