Obbiettivi Nikon, un oceano di sigle e una storia di (apparente) compatibilità

Dopo anni che non accedevo al mio profilo di Google Analytics, in cui vengono raccolte le statistiche del traffico su questo sito, ho scoperto che una pagina (questa, in particolare, ma anche altre contenenti articoli tecnici sulla fotografia digitale) porta ogni giorno alle mie pagine un centinaio di persone. Questo mi ha spinto a rivedere questa pagina aggiornandola e mettendola nel formato più adeguato al portale che ho scelto di utilizzare.
Come il precedente, questo articolo vuole essere una piccola guida all’interpretazione delle sigle degli obbiettivi Nikon, seguendo la storia dell’attacco F.

F, una lettera

Potrà sembrare strano scoprire che la prima ottica Nikkor, prodotta da Nippon Kogaku Tokio nel 1935, fu prodotta per la prima fotocamera a telemetro per uso civile, prodotta a sua volta dalla Hansa-Canon, ossia quella che sarebbe diventata la sua diretta e principale concorrente nel mondo della fotografia professionale. Il marchio Nikon nacque solo dopo la guerra (nel periodo di occupazione americana il marchio cambiò in Nippon Kogaku Japan) per la linea di fotocamere a telemetro che è stata prodotta fino agli anni ’60, linea che oggi costituisce un ambìto parco di caccia per collezionisti fotografici e che è stata rinfrescata con modelli celebrativi nel 2000 e nel 2004.
Nel 1959 Nikon decise di porre fine alla linea di fotocamere a telemetro (che furono prodotte di fatto fino al 1960), introducendo una linea, o meglio un sistema fotografico professionale modulare al tempo assolutamente rivoluzionario, basato su una reflex a lente singola (o SLR, dall’acronimo inglese), la Nikon F: le caratteristiche principali di questa nuova e rivoluzionaria linea erano l’intercambiabilità dei mirini e degli schermi di messa a fuoco, insieme ad una gamma di motori di trascinamento e i magazzini per rullini di pellicole maggiorati. Il sistema iniziale era costituito, oltre alla fotocamera, da un tris di ottiche che hanno fatto la storia dell’attacco Nikon, che ha preso il nome proprio da questa fotocamera: il Nikkor Auto-S 5 cm f2, il Nikkor Auto-P 10.5 cm f2.5 e il Nikkor Auto-Q 13.5 cm f3.5: le ottiche inizialmente mostravano la lunghezza focale in cm anziché in mm e continuavano ad essere marcate come Nikkor.
Già in questa fase iniziale nacque quindi l’uso delle sigle più o meno misteriose che tuttora caratterizza tutta la linea di ottiche Nikon.
Una caratteristica peculiare dell’attacco F è quella di avere un tiraggio maggiore (46,5 mm) rispetto a tutti gli attacchi oggi in commercio (Canon, Sony ex-Minolta, Pentax, ecc…) il che rende praticamente inutilizzabili sui corpi Nikon obiettivi previsti per altri attacchi.

Ottiche pre-AI (1959-1977)

In effetti le prime sigle associate alle ottiche Nikkor esistevano già nelle ottiche per la linea delle fotocamere a telemetro: oltre la lunghezza focale e la luminosità espressa in termini di stop dell’apertura massima del diaframma, le ottiche Nikkor erano caratterizzate da una lettera, indicante il numero di lenti che costituivano l’ottica, generalmente legato al numero in greco o latino: U (Uns) per 1 lente, B (Bini) per 2 lenti, T (Tre) per 3 lenti, Q (Quatuor) per 4 lenti, P (Pente) per 5 lenti, H (Hex) per 6 lenti, S (Septem) per 7 lenti, O (Octo) per 8 lenti, N (Novem) per 9 lenti e D (Decem) per 10 lenti; per obiettivi con un numero di lenti superiore a 10, si usano composizioni di lettere, ad esempio un obiettivo con 15 lenti era indicato con PD (P per 5 e D per 10). L’indicazione Auto, che oggi sembrerebbe del tutto ridondante, sottolineava l’automatismo della chiusura e riapertura del diaframma durante lo scatto, cosa non del tutto scontata in quegli anni, in cui erano ancora molto diffuse macchine da usare in stop-down. Questo automatismo, su tutte le ottiche Nikon, anche quelle più moderne, è garantito da una levetta meccanica attivata da un perno e da una molla di richiamo all’interno del bocchettone di innesto.
In questo periodo Nikon produsse i corpi macchina F (1959) e le sue versioni Photomic (normale, T, TN e FTN), Nikkormat FS (1965) e FT (dal 1967 al 1972, nelle varie declinazioni FT, FTn e FT2) e F2 (1971) e relative declinazioni; le Nikkormat non erano altro che reflex a costo ridotto con attacco F, con pentaprisma fisso (FS= ed esposimetro integrato (FT ed FTN).
La caratteristica principale di queste ottiche è quella di avere una coppia lamine di metallo, chiamate Metering Coupling Shoe e meglio note come “Rabbit Ears” (orecchie di coniglio), in grado di permettere l’accoppiamento meccanico della ghiera dei diaframmi sugli obiettivi, con un apposito pentaprisma esposimetrico in grado di eseguire una misurazione TTL e mostrare l’esatta esposizione all’interno del mirino. Utilizzando questo tipo di accoppiamento, la massima apertura di un’ottica andava “indicizzata” una volta che questa veniva montata sulla fotocamera, compiendo una rotazione dalla massima apertura alla minima, permettendo così di indicare al corpo macchina la luminosità dell’ottica (per la Nikkormat FT e la Nikon F con Photomic F o FN). Le orecchie di coniglio furono mantenute anche in seguito, dopo l’introduzione dell’indicizzazione automatica (ottiche AI, vedi di seguito), per rendere compatibili i nuovi obiettivi coi vecchi corpi macchina, e furono tolte per la prima volta con la serie E (vedi di seguito).
Le ottiche prodotte dal 1959 al 1971 oltre ad essere dotate di diaframma automatico (Auto), avevano un trattamento antiriflesso monostrato che donava alle lenti frontali una colorazione ambra, rosa o blu molto leggera.
Riassumendo, le ottiche Auto pre-AI prodotte dal 1959 al 1971 sono identificabili da:

  • scritta Auto seguita da un trattino e da una lettera indicante il numero di lenti (ad esempio Auto-S);
  • lenti frontali con colorazione ambra, rosa o blu molto leggera, per via del trattamento antiriflesso monostrato;
  • ghiera di messa a fuoco con grip metallico scolpito, oppure con grip in gomma scolpita a diamante;
  • “orecchie di coniglio” per l’accoppiamento dell’esposimetro alla ghiera dei diaframmi piatte e senza fori e poste in corrispondenza del diaframma f5.6;
  • barilotto cromato e/o nero;

da notare che le prime versioni avevano l’indicazione della focale in cm e nessuna vite nel bocchettone, con la scritta Nippon Kogaku Japan scolpita; le versioni successive avevano la focale in mm, 5 viti nell’attacco e la scritta Nikon scolpita sul frontale.

Qui sopra è illustrato un esempio di ottica Auto delle prime serie, un Nikkor-S Auto 5cm f2: la S indica uno schema di 7 lenti, la scritta Auto l’automatismo del diaframma; sono inoltre ben visibili le “orecchie di coniglio” solide per l’accoppiamento obbiettivo-pentaprisma esposimetrico e la robusta ghiera della messa a fuoco in metallo.
Dal 1971 al 1974 Nikon ha introdotto per i suoi obbiettivi un trattamento antiriflesso multistrato, a differenza dei precedenti in cui il trattamento era molto più blando; ciò rendeva i primi obbiettivi Nikon particolarmente sensibili ai riflessi interni, sia ai raggi luminosi che pur non entrando nell’inquadratura penetravano all’interno del barilotto dalla lente frontale. Quello mostrato qui sopra è il Nikkor-HC Auto 50mm f2, nuova versione con una lente in meno rispetto alla precedente (6 lenti anziché 7). Gli obiettivi con trattamento antiriflesso multistrato sono riconoscibili dalle seguenti caratteristiche:

  • la lettera “C” scolpita insieme a focale e diaframma;
  • riflesso delle lenti verde scuro o rosso scuro;
  • la scritta Nikon, invece di Nippon Kogaku Japan;
  • barilotto nero o identico agli abiettivi A più recenti, ma lunghezza focale sempre espressa in mm.

Dal 1974 al 1977 le ottiche cosiddette pre-AI subiscono un restyling puramente estetico: funzionalmente non cambia nulla, ma le ghiera di messa a fuoco diventa di gomma scolpita con un pattern a diamante, sostituendo la più pesante ghiera in metallo; inoltre spariscono le indicazioni relative allo schema ottico e al trattamento antiriflesso sul bordo frontale dell’obbiettivo; rimangono invariate le “orecchie di coniglio” solide (a differenza di quelle che seguiranno negli obiettivi AI, che sono forate). L’aspetto esteriore è molto simile ai futuri AI, ma mancano ancora i componenti funzionali per l’indicizzazione automatica, tutte caratteristiche pressoché invisibili ad obbiettivo innestato. Questi obiettivi prendono il nome di “K”; quello a lato è il Nikkor 50mm f2.

Indicizzazione automatica del diaframma: AI (1977-1983)

Se le variazioni apportate durante la produzione delle ottiche Auto erano state minime e quasi tutte solamente estetiche, con l’introduzione dell’indicizzazione automatica del diaframma le ottiche Nikon si ha una vera rivoluzione, non tanto nella qualità delle ottiche, quanto piuttosto nell’evoluzione di come le ottiche diventino parte del sistema reflex tanto a fondo da avere influssi anche nell’esposimetro. Spariscono gli accoppiamenti esterni al corpo macchina e anche se le orecchie di coniglio rimangono per garantire la retrocompatibilità, di fatto il passaggio di informazioni tra ottica e corpo macchina avviene mediante la ghiera di innesto. Ovviamente questa caratteristica può essere sfruttata dai corpi macchina che vengono introdotti nello stesso anno: la Nikon F2 Photomic A/AS (1977) e la successiva F3 (1980), oltre alle Nikon FM e Nikkormat FT3 (1977), FE ed EM (1978), FM2 e FG (1982) e FM2n (1983): con queste fotocamere vengono inaugurate più linee di cui anche economica (EM), ma a parte quest’ultima le fotocamere di queste linee non hanno nulla da invidiare alle sorelle maggiori in termini di robustezza e solidità: ancora oggi, nonostante le pellicole siano sempre più difficilmente reperibili, le reflex di questa linea mantengono un valore di tutto rispetto.
L’accoppiamento per indicare al corpo macchina l’apertura del diaframma impostata avviene mediante il Meter coupling ridge (vedi immagine), una flangia che sporge da barilotto dell’obiettivo e copre un angolo a cui è strettamente legato il diaframma di massima apertura. Questa caratteristica viene sfruttata dalla Nikkormat FT3 anche per la misurazione esposimetrica e per gli automatismi di esposizione.
Nella figura a lato, l’angolo che il Meter coupling ridge copre è indicato con θ1; viene misurato a partire dal forellino che blocca l’innesto dell’obbiettivo quando si innesta (chiamato Lens locking indentetion) e termina in corrispondenza di un valore di apertura con il seguente mappaggio: per le ottiche f1.4, la flangia termina in corrispondenza di f8, per le ottiche f2 la flangia termina in corrispondenza circa di f10, e così via; la tabella completa del mappaggio si può trovare a questo link.
Quello che nella figura sopra è indicato come θ2 è l’angolo a cui, partendo dal solito forellino di blocco dell’innesto, è posto un perno (EE Servo Coupling Post) utilizzato per segnalare al corpo macchina quando la ghiera del diaframma è posta al valore di massima apertura, utilizzato per un particolare dispositivo chiamato DS-12 EE Aperture Control Attachment, in grado di equipaggiare la F2 Photomic AS dotata di DP-12 della modalità di esposizione a priorità di tempo di scatto; lo stesso perno è stato utilizzato per fare in modo che sulle fotocamere più recenti prive dell’accoppiamento tra esposimetro e il Lens Speed Indexing Post (F401, F50, F60, F80 fino alle più recenti digitali D100, D70 e D50) una volta innestato l’obiettivo il diaframma venisse aperto al minimo valore (massima apertura); sulle ottiche più recenti l’informazione è trasmessa mediante contatti elettrici dal chip in essi contenuto. Sui corpi macchina indicati è infatti presente un piccolo switch che si chiude grazie a questo piccolo perno solo quando la ghiera dei diaframmi è posizionata sul diaframma minimo (e può essere bloccata, sulle ottiche AF, mediante apposito meccanismo), altrimenti viene indicato l’errore FE-E dall’esposimetro.
La massima apertura del diaframma viene codificata anche mediante un altro perno, denominato Lens speed indexing post; questo perno, interno al bocchettone, è posizionato sempre a partire dal forellino di blocco dell’innesto all’angolo θ3, indicato nella figura precedente. Anche in questo caso, esiste una tabella di conversione tra angolo θ3 e diaframma di massima apertura. Questa caratteristica viene introdotta per la misurazione esposimetrica ma sarà sfruttata poi più tardi anche sulla FA e sulla F4 per avere la modalità di esposizione automatica Program. Purtroppo le fotocamere Nikon più recenti di fascia più economica non leggono più né il Lens speed indexing post, né il Meter coupling ridge, perdendo pertanto la misurazione esposimetrica e gli automatismi di esposizione quando vengono innestate le ottiche AI su di esse; le informazioni sulla massima apertura del diaframma di un obiettivo, oggi, sono trasmesse elettronicamente alle fotocamere, e solo le reflex professionali mantengono ancora la compatibilità completa con le ottiche AI. Questo comunque non impedisce di poter usare le ottiche AI (alcune di qualità ancora straordinaria) in manuale e con l’ausilio di esposimetri esterni anche su fotocamere più economiche.
Ci sono anche altre caratteristiche, prettamente estetiche, che permettono di identificare un obbiettivo AI, oltre quanto indicato sopra: ad esempio le orecchie di coniglio nelle ottiche pre-AI erano solide, mentre negli obiettivi AI e AI-S presentano dei fori, che permettono alla luce di entrare in una finestrella e di permettere di vedere dall’interno del mirino il valore di diaframma impostato: tuttavia, poiché Nikon ha offerto per anni un servizio di trasformazione delle ottiche non AI in AI, alcuni obiettivi per-AI potrebbero avere le orecchie di coniglio forate. Altre caratteristiche che contraddistinguono le ottiche AI sono i colori del valore minimo di apertura, sia sulla ghiera dei diaframmi, sia sul barilotto, colorato in arancione. Riassumendo, un’ottica AI si distingue da una pre-AI dalle seguenti caratteristiche:

  • orecchie di coniglio forate;
  • valore di minima apertura del diaframma colorato in arancio;
  • presenza sul barilotto, all’altezza dell’innesto, del Meter Coupling Ridge;
  • presenza sul barilotto, all’altezza dell’innesto, dell’EE Servo Coupling Post;
  • presenza nella parte che finisce all’interno della fotocamera del Lens Speed Indexing Post.

La Nikon per tutti: serie E (1979)

Al grido di “più Nikon per tutti”, negli anni ’80 sono state prodotte delle reflex economiche a marchio Nikon, ma che di Nikon avevano ben poco, sia come produzione (affidata a Cosina), sia come robustezza: le Nikon EM (e successivamente le FG) furono il tentativo di Nikon di espandersi alla fine degli anni ’70 al di fuori del mercato professionale, per superare i limiti delle Nikkormat e per contrastare le fotocamere di altri produttori molto più agguerriti in questo settore e in grado di proporre soluzioni molto avanzate tecnologicamente a costi relativamente ridotti: è il caso del sistema Olympus che in quegli anni si arricchiva del modello OM-2, ad esempio, oppure della AE-1 di Canon o della ME di Pentax: macchine estremamente compatte ma dotate di automatismi e esposimetri sofisticati. Per rendere ancor di più alla portata di tutti il sistema Nikon, furono prodotte anche delle ottiche “economiche”, dalle eccellenti caratteristiche ottiche, ma dalla meccanica più povera.
Sostanzialmente le ottiche della serie E sono le prime edizioni delle ottiche AI-S (vedi più avanti) e sono identificabili da:

  • diaframma minimo colorato in arancio: inoltre il penultimo diaframma disponibile è indicato in blu e quello centrale indicato in giallo;
  • spariscono le orecchie di coniglio, non più necessarie col nuovo sistema di accoppiamento obbiettivo-corpo macchina (ovviamente ciò rendeva impossibile l’accoppiamento esposimetrico tra le ottiche della serie E sui corpi macchina pre-AI);
  • largo uso di plastica nella costruzione del barilotto;
  • indicazione di “Serie E” invece di Nikkor sul frontale.

Quello illustrato nell’immagine è il 50 f1.8 serie E; di questa serie furono prodotti pochi altri obiettivi: il 28 f2.8, il 35 f2.5, il 50 f1.8 mostrato in figura ma disponibile anche in versione cromata, il 100 f2.8 e il 135 f2.8: come si vede dalle focali e dall’apertura massima del diaframma, il target è quello della fotografia amatoriale, seppur le lenti della serie E si sono dimostrate otticamente ineccepibili.

AI-S (1983)

Con l’avvento dell’elettronica nelle reflex e quindi delle prime fotocamere con automatismi, si cominciarono a sentire i limiti di tutti questi accoppiamenti meccanici, e per risolvere il problema… se ne introdussero altri!
La fotocamera della svolta fu la FA, che aveva anche la prima bozza dell’esposimetro che poi sarebbe diventato il Matrix 3D. Per dotare questa fotocamera delle priorità di tempo in grado di funzionare col nuovo sistema esposimetrico, era necessario linearizzare il controllo dell’apertura del diaframma (per una più accurata misurazione della luce durante lo scatto in priorità). Il meccanismo è ottenuto modificando il meccanismo di apertura del diaframma sul corpo macchina; per indicare al corpo macchina la presenza di un’ottica in grado di manovrare il diaframma linearmente, è stata introdotta un’altra segnalazione meccanica, indicata nella figura dal Lens Type Signal Notch, una tacca incisa nella flangia di innesto (indicata dall’1 nella figura a fianco). Oltre a questo, le ottiche AI-S differiscono dagli AI per la presenza del Focal lenght indexing ridge (indicata con 2), una cresta che indica se l’ottica ha una focale maggiore o uguale a 135 mm oppure no; se la cresta inizia in corrispondenza del Lens locking indentation, l’ottica ha una focale maggiore o uguale a 135; quella mostrata in figura è un AI-S 20 f2.8, pertanto la cresta non inizia nel foro di blocco dell’obbiettivo. Questa cresta serviva per attivare il Dual Program mode sulla FA; occasionalmente, fa anche da protezione alla lente posteriore, nel caso in cui l’ottica venga inavvertitamente posata dalla parte interna su una superficie. Un’altra caratteristica che permette di distinguere un AI-S da un AI è il colore dei valori di diaframma sulla ghiera: oltre all’apertura minima in arancione, comune agli AI, il penultimo valore è in blu e quello centrale è in giallo.
Le uniche fotocamere in grado di sfruttare queste due caratteristiche sono la già citata FA, per attivare gli automatismi di esposizione a priorità, la FG e la F4. Montando le ottiche AI sulla FA si perdeva la priorità di tempo, ma l’automatismo a priorità di diaframma e program almeno a tempi standard era garantita. Di fatto, peranto, le ottiche AI e AI-S, a meno di differenti schemi ottici, sono sostanzialmente identiche se non usate su queste fotocamere.

Inizia l’era autofocus: esce la F3AF (1983)

Nikon entrò nel mondo dell’autofocus cercando di mantenere la maggiore compatibilità possibile col suo attacco per garantire ai fotografi la possibilità di utilizzare il vasto parco ottiche esistente anche coi nuovi obiettivi; la spinta verso l’autofocus arrivò purtroppo soprattutto dalla concorrenza: Canon stava sperimentando l’autofocus su qualche modello della linea T, per poi abbandonare definitivamente l’attacco FD e introdurre il sistema EOS che per anni le garantirà il predominio pressoché assoluto nel campo del fotogiornalismo.
Nikon introdusse sul mercato la F3AF, una versione modificata della F3; con questa macchina vede la luce il primo sistema di messa a fuoco a rivelazione di contrasto TTL (l’AF delle Canon T si basavano su un sensore infrarosso all’interno dell’ottica stessa). Insieme alla F3AF, furono prodotti i primi due obbiettivi AF Nikon, un 80 f2.8 e un 200 f3.5 ED IF (per queste due ultime sigle vedi più avanti), che avevano la peculiarità di avere il motore AF nell’obbiettivo stesso, anziché nel corpo macchina, in pratica degli antesignani degli AF-I e AF-S (vedi più avanti). L’accoppiamento elettronico ed elettrico tra corpo macchina e obbiettivo avviene mediante 6 contatti nel bocchettone di attacco dell’obiettivo, repicati ovviamente su quello di innesto del corpo macchina, e mediante un contatto elettrico sotto il pentaprisma progettato ad hoc per la F3AF, per alimentare il motore AF dell’obbiettivo. Ovviamente questi obbiettivi, pur essendo i prodotti più moderni della tecnologia Nikon, dovevano essere compatibili con tutti i corpi precedenti, e quindi erano in tutto e per tutto ottiche AI-S, comprensivi anche delle orecchie di coniglio e colori dei numeri di diaframma.
Questa serie di obbiettivi ebbe un’importanza non trascurabile di definire il nuovo standard che sarà ripreso dai futuri obbiettivi AF, sebbene la soluzione di mettere il motore all’interno delle ottiche sarà sospesa fino all’introduzione dei motori ultrasonici.

L’AF diventa definitivo (1986)

La F3AF è stata solo una bozza di sistema autofocus; il vero lancio del sistema autofocus per Nikon avvenne con l’uscita della F4 (1988) preceduta dalle macchine semiprofessionali della stessa linea: F501 (1986), F401 (1987), F801 (1988), F601 (1990) e con le successive versioni di ciascuna identificate con la lettera “s”. Per queste macchina il motore AF è stato portato all’interno del corpo delle fotocamere; il movimento viene trasferito ai gruppi ottici dell’obbiettivo mediante una camma che attraversa il barilotto dell’obbiettivo e si accoppia al corpo macchina mediante una sorta di cacciavite sul bocchettone di innesto: tale camma è posizionata a circa 210° dal Lens Locking Indentation. Inoltre gli obbiettivi AF sono equipaggiata da 5 contatti elettrici (uno meno che per gli AF della F3AF) che permettono al corpo macchina di dialogare con una cpu interna in grado di fornire tutti i dati dell’obbiettivo che con le versioni AI e AI-S venivano trasmesse meccanicamente. Ovviamente la retro compatibilità è garantita, almeno fino ai corpi macchina compatibili con gli AI/AI-S: orecchie di coniglio a parte, sono presenti tutti i componenti meccanici illustrati nelle precedenti sezioni. La ghiera dei diaframmi è presente, tuttavia per i modelli di fotocamera con le priorità, su cui i diaframmi si impostano dal corpo macchina, è necessario regolare la ghiera all’apertura minima; un nottolino colorato in arancione permette di bloccare la ghiera in questa posizione.
Con l’introduzione della F4 si rese necessario il lancio di un set completo di ottiche professionali; in alcuni casi lo schema ottico dei vecchi AI/AI-S venne mantenuto (fu aggiunta solo la parte meccanica di trasmissione del movimento), ma in altri casi gli obbiettivi furono riprogettati ex-novo anche dal punto di vista ottico.

Un’incursione nel passato: AI-P (1988)

Ovviamente il mercato delle ottiche manuali, soprattutto tra gli amatori, resta fiorente. Parallelamente ai nuovi AF, vengono prodotti tre obiettivi a fuoco manuale, ma dotati di cpu e contatti elettrici, in grado di lavorare perfettamente con gli esposimetri più moderni. Si tratta però di obbiettivi molto particolari di cui solo uno accessibile economicamente: un 45 f2.8 con schema Tessar (4 lenti in 3 gruppi), un 500 f4 e il mostruoso 1200-1700 f5.6-8.
Il 45 f2.8 è diventato una specie di oggetto di culto, da abbinare ad una FM, FM2 o FM3A: ha uno spessore di soli 17 mm, viene venduto con un paraluce di foggia particolare (a nido di calabrone), e viene prodotto nero o cromato: è ancora oggi uno degli obbiettivi più ricercati, grazie alla possibilità di lavorare senza perdite di funzionalità esposimetriche anche sulle reflex digitali più moderne e di fascia più bassa (ovviamente escluso l’autofocus) e soprattutto alla sua resa dal sapore classico tipica degli obbiettivi Tessar. Gli altri due sono praticamente introvabili.

Piccole modifiche estetiche: AF-N (1988)

Le ottiche AF cominciarono la loro introduzione con le prime macchine con il motore autofocus integrato nel corpo invece che sull’obbiettivo, e stranamente questo non avvenne in concomitanza con il lancio di una ammiraglia; nel 1986 fu lanciata la F- 501, la prima reflex con AF integrato. La nuova ammiraglia F4 arrivò nel 1988 (insieme la F801), e con essa arrivò un restyling leggero dei primi obbiettivi AF.
Le modifiche in effetti si limitavano a pure migliorie estetiche: la ghiera di messa a fuoco diventò leggermente più grande e la plastica rigida di cui era fatta fu sostituita con gomma scolpita a diamante; inoltre il nottolino di blocco della ghiera dei diaframmi fu sostituita da una levetta, più facile da bloccare: queste due caratteristiche sono gli unici indizi che contraddistinguono gli obbiettivi oggetto di restyling. Nessuna delle ottiche interessate al restyling subì una revisione dello schema ottico: queste ottiche furono ribattezzate AF-N, dove la N sta per “New”, ma nessuna indicazione di questa sigla è presente sugli obiettivi se non nelle scatole di imballaggio. A margine di queste piccole modifiche, però, la linea di produzione di alcune ottiche (come ad esempio i 50 mm) si spostò dal Giappone ai nuovi impianti in Cina (1990): esistono pertanto versioni di AF New prodotte in Giappone e altre prodotte in Cina: la differenza sostanziale è nei materiali, i barilotti degli obiettivi prodotti in Giappone sono di una lega più pesante, tuttavia la qualità ottica degli obbiettivi prodotti in Cina è praticamente la stessa di quelli prodotti in Giappone. Di seguito i due AF 50 mm f1.8, nella versione originaria e nella versione “New”, in cui è ben visibile la differenza nei grip della ghiera di messa a fuoco e nel blocco della ghiera dei diaframmi.

Interlavoro ottiche-esposimetro-flash TTL: obbiettivi AF-D (1992)

Con l’uscita della F90, reflex semi-professionale che inaugura una nuova serie di fotocamere che culminò nell’uscita della F5 e della F100, fu introdotta la misurazione esposimetrica Matrix 3D, una evoluzione del Matrix già presente a partire dalla Nikon FA. Per il nuovo sistema esposimetrico valutativo a zone divenne necessaria una informazione aggiuntiva che gli obbiettivi finora prodotti non disponevano: l’indicazione della “terza dimensione” (da qui il nome 3D), ossia l’informazione relativa alla distanza di messa a fuoco. A questo scopo gli obbiettivi AF furono dotati di nuovi chip in grado di fornire al corpo macchina anche questa informazione, sempre attraverso i 5 contatti già presenti nelle ottiche AF, per garantire la compatibilità a ritroso; ovviamente gli AF non D avrebbero comunque permesso il funzionamento dell’esposimetro delle F90 e delle reflex successive nella vecchia modalità Matrix standard. Anche in questa riedizione delle ottiche AF non ci furono modifiche sostanziali degli schemi ottici degli obbietivi finora prodotti: le uniche due ottiche che subirono anche la riproggettazione dello schema ottico furono il 28 f2.8 e il 35-105 f3.5-4.5, forse i due peggiori obbiettivi Nikon mai prodotti. Furono però prodotti per la prima volta nuovi obbiettivi dalle prestazioni di tutto rispetto, anche di fascia relativamente economica, come l’AF 28-105 f3.5-4.5D.
Con la F90 fu introdotta anche il sistema flash TTL bilanciato basato sul sistema di misurazione Matrix 3D, oltre alla sincronizzazione con tempi rapidi dei nuovi flash SB, chiamato High Speed FP Flash Sync, dove FP sta per Flat Peak: si tratta di un trucco, per cui il flash in effetti non si sincronizza affato con l’otturatore, ma emette un lampo continuo prima durante e dopo l’apertura dell’otturatore, compensando il tempo breve, generalmente minore della vera velocità sincro-flash, con un lampo più intenso. Queste funzioni, al pari della misurazione Matrix 3D, richiedono la presenza di obbiettivi AF-D.
Dal 1992 al 1996 Nikon produsse le reflex più interessanti da punto di vista degli automatismi e della misurazione esposimetrica: uscirono macchine come la F70 che portarono queste funzionalità alla grande massa dei fotoamatori, ma il culmine si raggiunse con la F5, che offriva forse il sistema esposimetrico più evoluto per quegli anni, basato su un sensore a 1005 punti in grado di bilanciare la luce anche secondo i colori (Color Matrix 3D). Purtroppo Nikon stava perdendo colpi per via dell’autofocus: il sistema di accoppiamento meccanico cominciava a mostrare i suoi limiti, soprattutto per le ottiche lunghe e dotate di lenti e gruppi pesanti da muovere con quel sistema; inoltre Canon aveva già introdotto nei suoi obbiettivi il sistema di messa a fuoco motorizzata che ha fatto la fortuna in campo professionale del sistema Eos dagli inizi degli anni ’90 fino a circa il 2005.

I motori tornano sulle ottiche: AF-I (1992) e AF-S (1996)

Come anticipato nel precedente paragrafo, la supremazia che Nikon aveva avuto nel campo delle reflex 35 mm professionali agli inizi degli anni ’90 iniziò a incrinarsi a favore del nuovo sistema Canon EOS; Canon fece una scelta drastica, abbandonando all’improvviso sia la linea basata sulle ottiche FD, sia la neonata linea di fotocamere autofocus della serie T, riproggettando ex-novo tutto il sistema. In particolare, dotò le ottiche autofocus di motori interni veloci, creando un sistema autofocus imbattibile e praticamente insostituibile per chi viveva con la fotografia di reportage.
Nikon invece continuò sulla strada della compatibilità, aggiungengo sempre funzionalità ad un attacco che cominciava a mostrare i suoi limiti, con tutti i vincoli meccanici tenuti in vita dal 1959 in poi.
Il primo passo della migrazione verso un sistema in grado di abbandonare i vincoli col passato avvenne con i primi obbiettivi motorizzati AF-I nel 1992, in corrispondenza con l’uscita della F90: dotati di un motore integrato (da qui la I) a corrente continua, furono prodotti i primi quattro super tele luminosi (300 e 400 mm f2.8, 500 e 600 f4); tuttavia i motori in continua coreless si dimostrarono del tutto insufficienti per una messa a fuoco in grado di concorrere con le ottiche EF.
Insieme alla F5 e al suo sistema di messa a fuoco a 5 punti, furono prodotte le primissime ottiche dotate di motori ultrasonici (Silent Wave Motor, SWM vedi più avanti): tutte ottiche di rango professionali di elevatissima qualità come il 28-70 f2.8 ED, il 300 f2.8, il 600 f4 e l’ormai introvabile e ricercatissimo AF-S 80-200 f2.8 ED. Dalla seconda metà degli anni ’90 è iniziato un lento processo di rinnovamento di tutte le ottiche, che ha ripreso vigore e intensità negli ultimi anni, con i grandi successi commerciali delle ultime reflex digitali.
L’attacco di questi obbiettivi presenta (come per gli AF-I) 10 contatti in cui passano, oltre alle informazioni delle ottiche AF-D, l’alimentazione ei comandi del motore. I primi modelli AF-S continueranno a garantire piena compatibilità con le fotocamere più vecchie, essendo a tutti gli effetti anche obbietivi AI-S; purtroppo la presenza della ghiera dei diaframmi cominciava ad essere un ingombro abbastanza pesante per i progettisti delle ottiche, oltre ad essere un punto di debolezza in più, peraltro del tutto inutile vista la possibilità di impostare tempi e diaframmi direttamente dal corpo macchina, sia utilizzando gli automatismi, sia esponendo in manuale.

La ghiera dei diaframmi va in pensione: obbiettivi tipo G

La cosa curiosa è che a volte le soluzioni che permettono un salto in avanti, al di là dei vincoli che ti legano al passato, vengono introdotte per tutt’altri (e meno nobili) fini. Nel tentativo di tenere a galla il mercato delle reflex a pellicola quando il digitale cominciava a dilagare nonostante i costi ancora proibitivi, furono prodotte reflex economiche, prive di alcuni meccanismi che erano stati tenuti artificialmente in vita per garantire la compatibilità delle ottiche Nikon su larga scala: le F50 (1994) e le F60 (1998) furono le prime macchine che perdevano la piena compatibilità con le vecchie ottiche AI: mancando di accoppiamento meccanico delle indiciazioni sul diaframma, tali reflex perdevano esposimetro e automatismi di esposizione se su di esse si innestavano ottiche prive di CPU, quindi tutte le ottiche a fuoco manuale con l’esclusione degli introvabili AI-P.
Degne compagne di queste fotocamere economiche, furono le prime ottiche G, caratterizzate dall’assenza della ghiera dei diaframmi, ormai resa inutile dai comandi presenti sui corpi macchina. Le prime ottiche di questo genere furono anche le prime ottiche Nikon prodotte dagli stabilimenti in Cina e Thailandia e completamente di plastica: l’AF 28-100 mm f3.5-5.6 G, l’AF 28-80 f3.3-5.6 G e l’AF 70-300 f4.5-5.6 G, dalla costruzione precaria (era in plastica anche la flangia di innesto dell’ottica) e dalle prestazioni misere anche per i meno esigenti dei fotoamatori. Qui a lato è illustrato l’AF 28-100 f3.5-5.6 G, nella versione argento (per chiamarla cromata avrebbe dovuto essere almeno metallica): era disponibile anche una versione dorata(!) e una più sobria nera.
Ovviamente l’innovazione fu presa malissimo dagli appassionati di Nikon, probabilmente più per l’effeto combinato delle pessime ottiche prodotte per la prima volta senza ghiera dei diaframmi; solo in seguito, con le prime ottiche dedicate specificatamente al digitale, furono prodotte le prime ottiche G di qualità elevata, e l’innovazione prese finalmente piede: questo rese la progettazione delle ottiche decisamente più semplice, a costo di tagliare i ponti col passato, che comunque sarebbero stati tagliati più dal digitale che dalla mancanza di una ghiera sugli obbiettivi.
Un ulteriore passo verso il taglio col passato fu l’introduzione di reflex digitali economiche prive della camma per la messa a fuoco: su queste fotocamere, destinate al mondo amatoriale, la messa a fuoco automatica è garantita solo con gli obbiettivi motorizzati AF-S; anche con le ottiche AF-D si perde la messa a fuoco automatica, escludendo per queste fotocamere un vastissimo parco ottiche.

Obbiettivi per mani tremule: VR

Sempre agli inizi degli anni 2000, fu immesso sul mercato il primo obbiettivo dotato di sistema di stabilizzazione delle vibrazioni. In pratica all’interno dell’obbiettivo è stato inserito un gruppo di lenti “flottante”, il cui movimento è dato da un motore che si attiva in base al movimento dell’intero obbiettivo: l’alimentazione di questo motore, al pari dei motori di messa a fuoco, viene ovviamente dal corpo macchina ed è “acceso” dalla messa a fuoco: premendo il tastino AF-L (se presente) o premendo leggermente il tasto di scatto, il motore stabilizzatore si accende e rimane acceso fino al momento dello scatto. Questo sistema riduce le vibrazioni del sistema corpo+obbiettivo, permettendo di usare tempi leggermente più lunghi senza il rischio di incorrere nel micromosso. Il primo obbiettivo ad essere equipaggiato dal sistema VR fu l’AF 80-400 f4-5.6 D ED VR, prodotto a partire dal 2000, e salvo rare eccezioni, tale sistema viene montato solo su obbiettivi di pregio. Solo recentemente il VR ha cominciato ad essere presente anche su ottiche meno pregiate (come ad esempio l’AF-S 55-200 f4.5-5.6 G IF-ED VR, uno degli obbiettivi da fornire in kit con le reflex digitali entry level). Esistono due versioni di sistema VR, il secondo dei quali è equipaggiato da pochi anni sugli obbiettivi di fascia professionale.

Ottiche per il digitale a sensore di formato ridotto: DX

Parallelamente alla rimozione della ghiera dei diaframmi, all’estensivo uso di motori ultrasonici e l’utilizzo dei VR, esplose il fenomeno della fotografia digitale; fa un po’ caso pensare che solo 15 anni fa le fotocamere digitali erano solo dei prototipi costosissimi e pressoché inutilizzabili in ambito professionale, ma con l’abbassamento dei costi e il miglioramento della qualità dei sensori, la diffusione delle fotocamere digitali è stata inarrestabile, tanto da provocare persino la scomparsa di marchi celebri della fotografia a pellicola come Agfa e Ilford (rispettivamente riciclatesi nei sistemi di stampa e nelle carte per stampanti) o al dichiarato fallimento di questi giorni da parte di Kodak.
Nel 1999 Nikon mise sul mercato la D1, la prima reflex digitale destinata all’utenza professionale, che era stata preceduta di poco dai primi modelli di Coolpix, compatte digitali per il grande pubblico.
Con questa fotocamera ha avuto inizio la serie di fotocamere cosidette DX, dotate cioé di un sensore digitale di formato ridotto rispetto al tradizionale formato a pellicola 35 mm. Le dimensioni dei sensori di questo formato, prodotti da Sony su specifiche Nikon, tuttora in produzione e in commercio sulle reflex digitali da entry level a semiprofessionali, è di circa 24×16 mm, con una superficie totale di circa 2,25 volte più piccola di quella del formato 35 mm.
L’utilizzo di questi sensori comporta due effetti che a seconda dei punti di vista possono essere degli svantaggi o dei vantaggi. Il primo effetto è che gli obbiettivi per il 35 mm su questi sensori presentano un angolo di campo ridotto, equivalente a quello di obbiettivi di focale pari a 1,5 volte più lunga; inoltre il raggio di copertura richiesto da questi sensori è inferiore a quello richiesto dal 35 mm. Questo fatto ha comportato una sorta di “disadattamento” delle focali, e quindi degli angoli di campo, ritenute “classiche” per l’uso fotografico, laddove ad esempio un 35 mm diventa equivalente ad un 50 circa, fermo restando che le proprietà ottiche rimangono quelle di un 35 mm (profondità di campo, ad esempio): è come se si scattasse su una pellicola a 35 di cui si prende una porzione centrale 2,25 volte più piccola. Per riportare sulle reflex digitali con sensori DX gli angoli di campo più tradizionalmente usati, furono introdotte le ottiche DX, in grado di portare focali molto più corte su ottiche relativamente leggere e semplici da un punto di vista della progettazione, a costo di un ridotto raggio di copertura (e quindi a costo dell’inutilizzabilità sulle reflex a 35 mm). Le prime due ottiche DX prodotte, nel 2003, furono i due obbiettivi marcatemente professionali AF-S 12-24 f4 G IF-ED e AF-S 17-55 f2.8 G IF-ED, nati per cercare di sostituire gli angoli di campo degli ormai celebri 17-35 e 28-70 su 35 mm. Seguì l’anno dopo il primo obbiettivo amatoriale a copertura ridotta, l’AF-S 18-70 f3.5-4.5 G IF-ED, da vendere in kit con la D70, la prima reflex digitale Nikon per il vasto pubblico amatoriale.
Ovviamente tutti gli obbiettivi DX sono motorizzati (AF-S) e senza ghiera dei diaframmi (G). I ponti col passato crollavano sempre più velocemente: solo le reflex digitali professionali garantivano la compatibilità con le vecchie ottiche AI/AI-S, e tra quelle destinate ad un pubblico amatoriale, solo per qualche anno fu garantita anche la compatibilità con gli AF/AF-D.

Altre sigle e abbreviazioni

A questo link trovate l’elenco ufficiale delle sigle e delle caratteristiche degli obbiettivi Nikon: ovviamente sono presenti solo le sigle per le ottiche attualmente in commercio: di seguito per alcune sigle ho integrato anche qualche spiegazione legata anche alla storia dei corpi macchina. Per qualcuna di queste sigle viene anche fornito un link ad una pagina del sito di Nikon Imaging, relativa ad obbiettivi che hanno fatto la storia del corredo Nikon.

GN (Guide Number)

La sigla GN sta per Guide Number; questa sigla solitamente si abbina alla potenza di un flash, ma sta ad indicare un obbiettivo speciale per Nikon: il Nikkor GN 45 f2.8. E’ l’unica ottica che si conosca dotata di un sistema di accoppiamento per la regolazione automatica del diaframma in base al numero guida del flash: come è noto a chi ha usato flash non TTL, il diaframma da usare quando si scatta con un flash dipende dalla distanza del soggetto da illuminare; questo obiettivo era dotato di un sistema di bloccaggio tra ghiera dei diaframmi e ghiera di messa a fuoco (con cui si regola in pratica la distanza del soggetto), per cui una volta fissato il numero guida del flash, la regolazione del diaframma avveniva automaticamente semplicemente mettendo a fuoco. Sbloccando le due ghiere l’obbiettivo funzionava esattamente come gli altri, permettendo quindi la misurazione esposimetrica a tutta apertura.
Questo obbiettivo è spesso solo 20 mm, fa il paio con l’AI-P 45 f2.8 mostrato più su, con cui condivide lo schema ottico Tessar: è stato prodotto solo nel 1969 (si tratta di un pre-AI, quindi)

ED (Extralow Dispersion)

La sigla ED sta ad indicare la presenza, all’interno dello schema ottico, di una lente a bassa dispersione cromatica, in grado di garantire quindi una maggiore qualità dell’immagine. In genere queste lenti sono posizionate all’interno dello schema, solitamente in prossimità del gruppo posteriore dell’obbiettivo (pupilla).

IF (Internal Focus)

La sigla IF sta ad indicare che il sistema meccanico di messa a fuoco fa muovere lenti e gruppi di lenti solo interni all’obbiettivo. Questo accorgimento è utile quando si usano filtri come quelli a gradiente o i polarizzatori, che sono sensibili alla loro posizione rispetto alle sorgenti di luce o all’orizzonte. Una volta regolato il filtro, la messa a fuoco non fa ruotare la lente frontale, per cui non è necessario regolare di nuovo la posizione del filtro. Questo impedisce anche l’ingresso di polvere all’interno dell’elicoide di messa a fuoco, cosa che potrebbe causare il grippaggio dei meccanismi di messa a fuoco.

SIC (Super Integrated Coating) e N (Nanocrystal)

Queste due sigle indicano il tipo di trattamento antiriflesso; il sistema SIC è stato utilizzato fino a circa il 2005, anno in cui è stato sostituito dal più efficace Nanocrystal.

AS (Aspherical)

La sigla AS sta ad indicare la presenza, all’interno dello schema ottico, di una lente asferica; l’utilizzo di queste lenti è mirato a ridurre distorsioni e aberrazioni.

CRC (Close Range Correction>

Il CRC (Close Range Correction) è un sistema ottico/meccanico che permette distanze minime di messa a fuoco ridotte soprattutto per ottiche grandangolari e obbiettivi macro, mantendendo la nitidezza a ottimi livelli e limitando le aberrazioni. La prima ottica ad adottarlo fu l’Nikkor-N Auto 24 f2.8 nel 1960.

RF (Rear Focusing)

La sigla RF (Rear Focusing) sta ad indicare che la messa a fuoco avviene muovendo i gruppi e le lenti posteriori dell’obbiettivo; in pratica è una forma di Internal Focus. Poiché le lenti e i gruppi posteriori sono molto piccoli, i movimenti di messa a fuoco automatici sono più facilmente implementabili, soprattutto su teleobbiettivi.

DC (Defocus Control)

La sigla DC (Defocus Control) caratterizza le ottiche speciali dedicate al ritratto; sono state prodotte solo due focali con il DC, il 105 e il 135 f2, sia in versione AI-S che AF/AF-D. Questo meccanismo permette di controllare l’aberrazione sferica complessiva dell’obbiettivo mediante il movimento di alcune lenti con la regolazione di apposite ghiere; regolando l’aberrazione sferica si fa in modo che i punti luminosi fuori fuoco si trasformino in cerchi più o meno intensi, facendo in modo che lo sfondo venga sfocato in modo molto più gradevole. Non è un caso, quindi, che i due soli DC prodotti siano i due mediotele da ritratto per antonomasia: l’abbinamento di DC e massima apertura molto ampia (f2) rende questi obbiettivi particolarmente appetibili laddove si voglia far risaltare il soggetto principale sullo sfondo.

PC (Perspective Correction)

La sigla PC (Perspective Correction) sta ad indicare gli obbittivi speciali in grado di correggere le linee cadenti mediante meccanismi di decentramento e basculaggio (tilt & shift). Sono ottiche dedicate ad uso architettonico, e sono dotate di ghiere in grado di disassare i gruppi ottici con estrema precisione.

Micro

Nikon usa il termine “Micro” per definire le sue ottiche speciali dedicate alla macrofotografia: queste ottiche hanno la caratteristica di permettere distanze di messa a fuoco estremamente ridotte, portando il rapporto di riproduzione molto prossime all’1:1.

SWM (Silent Wave Motor)

La sigla SWM (Silent Wave Motor) indica la presenza nell’obbiettivo di un motore ultrasonico per il sistema autofocus. La messa a fuoco, su questi obbiettivi, è demandata esclusivamente a questi motori, ed è molto più veloce di quella che si ottiene mediante la camma che accoppia il motore della fotocamera agli obbiettivi AF/AF-D

ML (Meniscus-protection Lens)

La sigla ML (Meniscus-protection Lens) indica la presenza sull’obbiettivo di una lente frontale a forma di menisco, allo scopo di ridurre i flare all’interno dell’obbiettivo.

M/A (manual/autofocus fast switching)

Questa sigla, che insieme alle successive può ingenerare non poca confusione, indica la possibilità per un obbiettivo AF-S di poter mettere a fuoco manualmente indipendentemente dalle impostazioni auto/manual sul corpo macchina e anche durante i movimenti del motore di messa a fuoco. In genere è presente sugli AF-S di fascia professionale.

A/M (auto on manual focus prority)

Questa sigla indica la presenza di un dispositivo (disinseribile) che dà priorità alla messa a fuoco automatica su quella manuale. Anche in questo caso il dispositivo è presente su ottiche di fascia elevata.

A-M (auto-manual switchable lens)

Questa sigla indica la presenza sull’ottica di uno switch che commuta il funzionamento da autofocus a manuale; in posizione M, l’autofocus è disinserito, a prescindere dalle impostazioni sulla fotocamera; in posizione A, l’autofocus funziona solo se anche sulla fotocamera è abilitato.

RD (Rounded Diaphragm)

La sigla RD (Rounded Diaphragm) indica che l’obbiettivo è dotato di un diaframma a lamelle arrotondate; questa particolare forma garantisce uno sfocato più gradevole del classico diaframma a lamelle lineari. Utilizzando diaframmi di questo tipo, i punti di luce fuori fuoco prendono la forma di cerchi, invece dei più classici e ben noti poligoni (in genere esagoni, se le lamelle sono 6) generati dai diaframmi a lamelle lineari.

HRI (High Refractive Index)

Questa sigla indica la presenza di lenti ad alto indice di rifrazione, garantendo maggiore leggerenza nel peso totale dell’obbiettivo: queste lenti sono presenti solo su ottiche economiche di ultima generazione, generalmente DX.

IX

Le ottiche IX fanno parte del sistema a pellicola basate sul formato APS (fotogrammi pari a metà del 35 mm). Il sistema fu un fallimento, anche perché il formato APS non prese mai piede.

CX

Con l’introduzione, nel 2011, del sistema “1”, fondato su fotocamere digitali mirrorless con sensore di formato ridotto e lenti intercambiabili, sono state introdotte le nuove ottiche CX, dal raggio di copertura ulteriormente ridotto rispetto a quello garantito dal formato DX. L’attacco per questi obbiettivi non è compatibile con l’attacco F, e un apposito adattatore permette l’innesto di ottiche F su queste nuove fotocamere. Il fattore di moltiplicazione per queste fotocamere è pari a 2,7.

Link utili

Qui di seguito un elenco di link essenziali e utili per la conoscenza del sistema Nikon.
Sito ufficiale di Nikon Imaging. Partendo da qui si trovano, oltre al catalogo dei prodotti attualmente in produzione, una serie di pagine molto interessanti sulle tecnologie adottate da Nikon e soprattutto sulla storia del marchio e degli obbiettivi Nikon. Alcuni link li ho riportati sopra, mettendoli in relazione ad argomenti specifici.
Nikonlinks.com: una raccolta di link mantenuto da appassionati, da qui virtualmente si raggiunge tutta la conoscenza su Nikon disponibile in rete.
Il sito di Lars Holst Hansen, fondatore del gruppo NikonRepair: contiene tutti i dettagli meccanici dell’attacco F.
Il sito di Roland Vink: contiene un ricchissimo e aggiornatissimo database di tutte le ottiche Nikon mai prodotte; partendo da qui e da un numero seriale si può risalire all’anno di produzione di un’ottica e saperne tutti i dettagli ottici e meccanici.
Photography in Malaysia: un sito ricchissimo di dettagli storici, non troppo aggiornato e un po’ confusionario, ma dove è possibile trovare informazioni e dettagli altrimenti introvabili.
Il sito di Thom Hogan: contiene recensioni molto accurate di ottiche e fotocamere Nikon; Thom Hogan è anche l’autore di dettagliatissimi manuali per le fotocamere Nikon, spesso più chiari dei manuali Nikon stessi.
Photozone.de: il sito che a mio avviso presenta i test oggettivi più affidabili per le ottiche (non solo Nikon).
Il sito di Bjørn Rørslett: contiene valutazione soggettive (ma molto affidabili) di un gran numero di ottiche Nikon.
Il sito di Ken Rockwell, ossia il Chuck Norris della fotografia: se conoscete Chuck Norris capite cosa intendo, se non lo conoscete fatevi un giro sulla rete e riportate con le dovute proporzioni le gesta del Texas Ranger al mondo della fotografia: ecco, Ken Rockwell è questo e già l’immagine in home page dovrebbe parlare chiaro per uno che usa un 500 mm per fare ritratti ai figli: esagerazioni e sbruffonate, mescolate a volte a dati di fatti oggettivi sulle valutazioni delle ottiche. Da prendere con le molle, ma a volte utile.

10 thoughts on “Obbiettivi Nikon, un oceano di sigle e una storia di (apparente) compatibilità

  1. bravissimo.. e molto utile.Ha pubblicato qualche valutazione e opinione su ottiche e macchine Nikon? se sì dove le posso leggere?
    mille grazie

    1. Sto scrivendo, molto lentamente, una valutazione molto soggettiva delle ottiche che ho avuto o che ho provato. Ma mi ci vorrà parecchio tempo, ancora…

  2. Grazie…molto molto utile! E se lo scrivere lentamente (poiche’ si vuole ben valutare ) porta questi risultati …ben venga!!!! Ancora mille grazie…molto utile!

  3. Articolo veramente interessante! avrei un paio di domande da farti a rigurado delle ottiche G. Avendo una d80 con l’obiettivo 18-135 del kit di acquisto, queste ottiche sarebbero totalmente compatibili con una f50 e una f80?

    1. Sulla F80 le ottiche G sono pienamente compatibili. Se non ricordo male anche la F50 dovrebbe essere pienamente compatibile con le ottiche G, poiché anche su questo fotocamera il diaframma può essere impostato elettronicamente sul corpo macchina senza ricorrere alla ghiera dei diaframmi.

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